La Grande Guerra

Giovanni Nicola Di Santo era nato a Taranta l’11 dicembre 1892; figlio di Giuseppantonio Di Santo e Tobia Fedele Recchione; dalla scheda militare risulta avere capelli neri e lisci;  il 21 maggio 1915 a 23 anni parte per il fronte con il 123° reggimento di fanteria che assieme al 124° compone la Brigata Chieti, con l’incarico di trombettiere.

La Brigata Chieti, da varie sedi dell’Abruzzo e del Molise, venne inviata il 1 giugno nella zona di Peschiera ed il 6, destinata a far parte della 31° divisione, è dislocata fra Pozzolengo-Rovizza-S. Martino della Battaglia ove, fino al 20 luglio, attende un periodo di esercitazioni e allenamento. Il 23 parte in ferrovia da Verona e Raggiunge Ruda e Pascolet, passando alla dipendenza della 19° divisione. Il 28 luglio è schierata in prima linea ad ovest da Fogliano e ha il suo battesimo del fuoco, attaccando le antistanti posizioni con graduale progresso e conquistando la “trincea delle frasche”. La perdita di 82 ufficiali e 2574 soldati sta a testimoniare l’intensità dello sforzo compiuto

Durante la II Battaglia dell’Isonzo Giovanni Di Santo morì a Castelnuovo del Carso (l’odierna Redipuglia a nord del territorio comunale ) per ferite riportate in combattimento il 30 luglio 1915, esattamente dopo 2 giorni dall’essere arrivato al fronte (come da verbale firmato sottotenente di amministrazione Cesari Cesare).

Il 25 aprile 1936 decorato della Croce al Merito di Guerra con determinazione Ministero della Guerra.

Luigi Giuseppe Di Nardo nasce a Taranta il 13 marzo 1889; figlio di Francescantonio e Maria Concezia Marzuolo.
Partita il 21 di maggio dalle sedi di pace, la brigata Acqui trovasi alla sera del 28 a Tapogliano alla dipendenza della 14a divisione (VII Corpo d’armata): il 7 giugno passa l’Isonzo sul ponte militare nei pressi di Pieris, trasferendosi a Turriaco.

Iniziate le operazioni per la conquista del margine dell’altipiano Carsico, il 9 giugno avanza in regione di S. Elia (S. Pietro dell’Isonzo) che occupa, vincendo a prezzo di sensibili perdite (400 uomini fuori combattimento, dei quali 14 ufficiali) la resistenza del nemico. Proseguendo nei giorni successivi la lenta avanzata sulle pendici del Carso, prende parte alla 1a e 2a battaglia dell’Isonzo (23 giugno – 8 luglio; 18 luglio-3 agosto) mirando alla conquista delle posizioni nemiche tra Selz e M. Sei Busi.

Il 23 e 24 giugno, supera le difficoltà opposte dall’inondazione provocata dal nemico nella pianura del basso Ionzo, si spinge fino a Ronchi ed alle Cave di Selz, ed il 27 occupa Vermegliano; ai primi di luglio, dopo avere invano tentato di oltrepassare sotto un violento fuoco i profondi e robusti reticolati che difendono il M. Sei Busi, riesce ad affermarsi alle falde dell’altura. Ripreso l’attacco il 18 luglio, il 18°, apertosi un passaggio nei reticolati, raggiunge le prime difese avanzate del nemico ad est di Vermegliano.

Fra il 19 e il 22 luglio, mentre il 17° rinnova i tentativi per superare le difese nemiche alle cave di Selz, i tenaci attacchi del 18° permettono di conquistare il ciglio delle alture di q. 45 (est di Vermegliano) e di mantenervisi a malgrado degli energici contrattacchi del nemico.

Per il valore e la tenacia dimostrati in queste sanguinose azioni, fu decretata alla Bandiera del 18° reggimento la medaglia d’argento al valor militare. Dopo un periodo di riordinamento e di riposo, il 22 agosto la brigata ritorna in prima linea, e prosegue durante i mesi di settembre e ottobre in una metodica avanzata, intercalata da piccoli scontri, rettifica e migliora notevolmente le nostre posizioni, fino a portarle a brevissima distanza da quelle nemiche di q. 118 del M. Sei Busi. In tale metodica attività, superando le difficoltà del terreno e la resistenza avversaria si segnalò in modo speciale il I battaglione del 17° al quale, in riconoscimento del valore e dell’abilità dimostrate, venne conferita la medaglia di bronzo al valor militare.

Frattanto si erano compiuti i preparativi ed apprestati i mezzi per procedere alla conquista dell’altopiano Carsico, alle cui falde le nostre truppe si mantenevano faticosamente aggrappate. Si viene così alla 3a battaglia dell’Isonzo, (18 ottobre-4 novembre), cui la brigata partecipa concorrendo all’attacco delle posizioni nemiche nel tratto fra q. 118 di M. Sei Busi e le alture ad est di Vermegliano: il 21 ottobre, mentre il 17° (I battaglione) a prezzo di gravi perdite, ottiene qualche successo a sud di q. 118, catturando anche 43 prigionieri, il II battaglione del 18°, procedendo per la strada di Doberdò contro le trincee nemiche ad est di Vermegliano, raggiunge ed occupa, nonostante l’intenso fuoco ed i solidi reticolati, un elemento della trincea detta “della morte”; però la reazione del nemico non permette al battaglione, logoro dalle forti perdite (250 uomini dei quali 14 ufficiali), di mantenere la posizione, che viene abbandonata la sera stessa.

Il contegno tenuto il 21 ottobre venne consacrato nella motivazione della medaglia di bronzo al valor militare concessa al valoroso II battaglione del 18°. L’attacco, rinnovato il 22 ottobre, consente solo al 18° fanteria di avanzare ed affermarsi presso i reticolati delle trincee nemiche ad est di Vermegliano.

Per le gravi perdite subite (22 ufficiali ed oltre 630 uomini di truppa fuori combattimento), la brigata si limita nei giorni successivi a piccole azioni per tenere impegnato il nemico. Il 29 un tentativo di tre compagnie del 17° si infrange davanti ai reticolati intatti. Più fortunate, due compagnie del 18° riescono a penetrare in un tratto di trincea, ma il mancato afflusso dei rincalzi, arrestati dal violento tiro di interdizione dell’ artiglieria austriaca, non permette ai reparti assalitori, fortemente indeboliti dalle perdite, di mantenerne la conquista.

Giovanni Rocco Di Lauro era nato a Taranta il 2 marzo 1890, figlio di Alfonso e Filomena Merlino. contadino, sposato con Rosalba Di Nardo con tre figli piccoli.

Fa parte del 123° fanteria, brigata Chieti, come il paesano Giovanni Di Santo, il quale morirà nei primissimi mesi di guerra. Al principio dell’anno fino alla battaglia di Gorizia la brigata si alterna colla “Barletta” fra turni di linea nelle posizioni di Polazzo e Redipuglia e periodi di riposo nella zona Perteole – Salicetto – Mortesins. Essa attende al rafforzamento della linea ed esegue, di tanto in tanto, delle puntate offensive, quali quella compiuta da reparti del 124° nei giorni 11, 12 e 13 marzo contro il “ridottino” che non può avere un efficace svolgimento a causa della insufficienza dei varchi aperti nei reticolati. E’ ritentata il 24 dello stesso mese, ma il nemico vigilante ne sventa di nuovo il tentativo che costa sensibili perdite ai reparti.

Il 22 aprile, per concorrere ad un’azione intrapresa dalla 14a divisione conto la testata del valloncello di Selz, reparti del 124° ripetono, con carattere dimostrativo, gli attacchi contro il “ridottino”. Il 4 giugno, allo scopo di impiegare il nemico sulla fronte carsica ed impedirgli di sottrarne truppe per destinarle alla fronte Trentina, come sembra abbia intenzione di fare, reparti del 123° (10° compagnia e reparto arditi reggimentali) penetrano nella trincea nemica detta “monticelli rossi” ma, contrattaccati da forze superiori, ripiegano sulle posizioni di partenza, portando seco prigionieri e materiale di guerra. Il 29 giugno il II/123°, passato alla temporanea dipendenza del 14° fanteria, ricove ordine di riprendere la trincea di q. 70 (Selz) già conquistata da reparti del 14° e poi abbandonata per la forte pressione nemica. Con mirabile slancio l’obiettivo è raggiunto e consolidato, nonostante la reazione del nemico al quale sono catturati oltre 200 prigionieri.

Quel giorno, il 29 giugno, Giovanni Di Lauro viene dato per disperso; un eufemismo per dire che dopo il combattimento il suo corpo non è stato più ritrovato.

Giuseppe Moschetta figlio di Giovanni e di Rosa Lucia Merlino nasce a Taranta il 28 gennaio 1983; di professione mugnaio, è sposato con Marietta Merlino ed ha due figli piccoli.
Inquadrato nel 218° Reggimento fanteria col grado di sergente, fa parte della Brigata Volturno. Il 218° è inviato al fronte dal 23 marzo 1916, dall’11 giugno in particolare sul Monte Pasubio.

Il I battaglione inizia il 12 giugno l’avanza verso quota 2043, il II battaglione mantiene le posizioni che da quota 2020 scendono verso le Porte del Pasubio e il III battaglione, in appoggio al I, avanza verso Cogolo Alto e il Coston del Lora. I battaglioni, per quanto ostacolati dal terreno, dalle avverse condizioni meteorologiche e dalla reazione avversaria, fanno lievi progressi soprattutto verso il Coston del Lora, finché il 27 giugno, in seguito a risultati brillanti della controffensiva italiana sugli altipiani, si decide di attaccare su tutto il fronte del Pasubio. I reparti avanzano verso quota 2043 e le trincee tolte all’avversario vengono rinforzate.

Ma il 2 luglio, festa tarantolese della Madonna della Valle, inizia un violentissimo bombardamento che prelude un altrettanto violento attacco. In quest’occasione muore Giuseppe Moschetta.

Sulla sua morte viene raccontato un aneddoto. Sembra che il fante avesse incontrato un altro Tarantolese, Nicola Piccone, che stava scendendo dal Pasubio e che gli avesse detto di non salire per la situazione infernale dei combattimenti, ma che Moschetta avesse risposto che non o sarebbe stato ucciso dai nemici o dalla Corte Marziale.

Carmine Antonio Moschetta nasce a Sorbo di Serpico (Av) il 30 ottobre 1890 da Angelo Antonio e Lucia Borrelli, emigrati poi rientrati a Taranta; di professione bracciante è sposato con Maria Domenica Falciglia ed ha un figlio piccolo. Sull’albo caduti è erroneamente riportato come Moschetti

Combatte nel 17° reggimento Bersaglieri”, reparto che in provincia di Padova, nei comuni di Teolo, Bastia e Cervarese Santacroce, si stava costituendo in forze. L’unità, che entrerà a far parte della III Brigata Bersaglieri (17°-18° reggimento) è composta in massima parte da giovani reclute (’97-’98), cui furono aggiunti provati combattenti di classi anziane come lui, veterani di 2 anni, per dare l’ossatura. La brigata raggiunge il 26 marzo 1917 la Valsugana (attuale provincia di Trento) e le pendici settentrionali dell’altopiano di Asiago. Fino ai primi di luglio non ha luogo alcun avvenimento importante se si eccettuano scontri di pattuglie, bombardamenti pressoché quotidiani ed un inizio d’azione, subito sospesa, del 17° bersaglieri contro il M. Civaron.
Nei giorni 20 e 21 luglio 1917 la brigata si porta a Sagrado sul fiume Isonzo (attuale provincia di Gorizia), da dove si trasferisce nel Vallone sostituendo in linea, nel settore di Castagnavizza, reparti della “Novara”. Dopo breve periodo di riposo, all’inizio della seconda quindicina di agosto su tutta la fronte della 3° armata si riprende l’offensiva per la conquista del gruppo dello Stol, della linea intermedia Temnizza-Voiscizza-Krapenka-q.213 e dell’Hermada.
Alla III brigata bersaglieri è affidato il compito di conquistare, in un primo tempo, il caposaldo di q. 346.Nella notte sul 18 agosto le truppe serrano sotto, completando lo schieramento ed il mattino seguente le prime ondate si allontanano veloci dalle nostre trincee puntando sulla posizione intermedia di q. 315, che viene in breve raggiunta. Ma la violenza del fuoco delle artiglierie avversarie, i continui contrattacchi in forza e la difficoltà di tenere i collegamenti, fanno sì che, dopo una lotta cruentissima durata l’intera giornata del 19 agosto, i nostri sono costretti a ripiegare nei trinceramenti di partenza.

Le perdite sofferte dalla brigata, durante questo episodio, sono ingenti, sommano a 40 ufficiali ed 848 uomini di truppa. Tra questi Carminantonio Moschetta, morto in combattimento a Castegnevizza il 19 agosto 1917

da Piume a Nord Est di Antonio Sema ……. Sul fronte della III armata il XXV cda aveva in linea la 4a divisione con la 3a brigata Bersaglieri (17-18° reggimento). Compito della divisione era attaccare su tutta la linea, puntando in direzione Est, spezzare la linea Castagnevizza, e quindi operare per far cadere mediante aggiramento l’importante postazione del groviglio del Hrbci.

Il tiro di preparazione iniziò regolarmente alle 07:00 del 18 agosto. Le pattuglie uscirono a verificare i danni alle 12:00 e alle 17:00 e segnalarono che sul fronte della 4 divisione le trincee nemiche apparivano “completamente sconvolte”, mentre sul resto del fronte del C.d.A c’erano varchi solo dinnanzi alla Montagnola e a Sud di Castagnevizza. Davanti alle linee della 14a divisione, però, i varchi risultavano ancora insufficienti; tuttavia si ritenne di poter risolvere la questione concentrando in quel settore il fuoco delle artiglierie pesanti. Nella notte, come era ormai abitudine, venne mantenuto solo il tiro d’interdizione e di disturbo per impedire il riattamento delle difese. Il tiro di distruzione riprese alle 05:00 del 19, e l’attacco delle divisioni 4 e l4 scattò simultaneamente alle 05:33.

I fanti della Novara conquistarono quasi subito la Montagnola. La 3a brigata bersaglieri, con i reggimenti 17° (btg. 64/65/66) e 18° (btg. 67/68/69), operava sulla sinistra, con l’incarico di espugnare q. 346, uno dei pilastri del sistema difensivo di Castagnevizza. Per tale motivo la postazione era particolarmente ben difesa con mitragliatrici e cannoncini dissimulati un po’ dappertutto nel terreno. Alla prova dei fatti i bersaglieri della 3a brigata occuparono “tutta la prima linea nemica” e, pur essendo ostacolati dal fuoco “vivacissimo” delle mitragliatrici nemiche appostate su q. 251, proseguirono l’avanzata verso q. 276. L’azione italiana fu dunque determinata, ma pure i contrattacchi I.R (austriaci) furono estremamente violenti.

La prima ondata del 17° bersaglieri passò così oltre ben tre linee trincerate, ma poi l’unità fu contrattaccata e infine accerchiata. Avanzò impetuosamente anche la prima ondata del 18°, ma il terreno era disseminato di mine, e il nemico si rivelò quanto mai aggressivo, obbligando il reggimento al ritiro sulle posizioni di partenza dove, nella notte, venne rilevato dalla Barletta. L’azione della 4a divisione, quel giorno, risentì negativamente del mancato concorso della brigata Pinerolo, unità della 14a divisione, e della Tevere della 21a. In particolare, quest’ultima brigata era stata costretta a ripiegare, scoprendo i fianchi della 4a divisione. L’unità fu in tal modo costretta a sostare sulle posizioni raggiunte per consentire l’avanzata dei reparti fiancheggianti. Questa sosta costò parecchie perdite, specie alle unità avanzate che dovettero ripiegare alquanto. Il 66° bersaglieri si trovò isolato nell’abitato di Castagnevizza, e il comandante della brigata bersaglieri ordinò al 65° (17) di avanzare e rinsaldare il centro, spostando poi il 68° (18) a sostegno dell’ala destra della brigata.

Poiché le brigate Pinerolo e Acqui non riuscirono a spezzare la resistenza nemica, al calar della sera le unità del C.d.A, “bersagliate incessantemente e logorate dal fuoco avversario”, dovettero ripiegare sulle posizioni di partenza. Alle 21:00, la brigata bersaglieri era attestata sulla linea di osservazione nemica a Ovest di Castagnevizza; infine, nella notte le “provate truppe” della 3a vennero sostituite dalla brigata Barletta e passarono alla riserva del C.d.A assieme a due battaglioni della Barletta. Le perdite furono sanguinose. Il 18° reggimento era ridotto ad appena due battaglioni, e il 17° di Cicchetti, addirittura, a uno solo.

Giovanni Carozza nasce a Taranta il 9 luglio 1879 da Francesco Paolo e Elisabetta Madonna; di professione contadino è sposato con Laura Moschetta.

E’ inquadrato nella Brigata Pistoia, nel 35° reggimento di fanteria che venne lasciato già il 13 maggio 1915 per raggiungere la zona di guerra nei pressi di Udine, alle dipendenze della 11° divisione.
Iniziatesi le ostilità, la Brigata si diresse verso la testa di ponte austriaca del Podgora, di fronte a Gorizia; il 10 giugno l’attacco del 35° reggimento, senza una adeguata preparazione di artiglieria, si risolse in un disastro e tra i reticolati nemici rimasero quasi 700 soldati. Alla bandiera del reggimento venne conferita la medaglia d’argento al valor militare.

Riusciti vani altri tentativi di sfondamento, la Brigata ricevette l’ordine di avanzare in modo metodico, cioè pochi metri per volta, verso la linea presidiata dall’avversario. Durante la I° Battaglia dell’Isonzo (23 giugno-7 luglio 1915), fu il 36° con un battaglione del 35° a tentare l’assalto al Podgora; ma anche in questa occasione la dura reazione del nemico costrinse i fanti italiani al ripiegamento verso le trincee di partenza con forti perdite.
A metà luglio, II° Battaglia dell’Isonzo (18 luglio-3 agosto 1915), la Brigata Pistoia appoggiò l’attacco alla quota 240 del Podgora di un reggimento dei Reali Carabinieri: le perdite furono pari al valore dimostrato pur senza apprezzabili risultati sul campo.

I sacrifici ed il sangue profuso dai soldati italiani sulle pendici del monte avevano però accorciato la distanza tra gli opposti schieramenti, così che durante la III° Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre-4 novembre 1915), attacchi alla baionetta compiuti dal 35° fanteria permisero più volte la conquista temporanea della linea Calvario-Cappelletta-quota 240, anche se al nemico riuscì sempre la riconquista del terreno perduto.
Le rilevanti le perdite subite dalla Brigata, oltre 2000 uomini fuori combattimento, consigliarono al nostro Comando Supremo di ordinare nuovamente l’avvicinamento metodico al nemico.

Tuttavia durante la IV° Battaglia dell’Isonzo (10 novembre-2 dicembre 1915), si dovettero contare altri 1500 caduti contro l’inviolabile linea nemica del Podgora e finalmente la Brigata venne inviata a riposo nella zona di Pradis. Rientrata in linea ai primi di gennaio 1916 nel settore di Oslavia, la Pistoia concorse ad arrestare l’attacco austriaco del 14-16 gennaio contro le quote 188 (valico di Oslavia) e 133.
Tuttavia, nonostante gli sforzi, all’avversario riuscì la riconquista di tutto il terreno perso in vari mesi di guerra. Per l’improvvisa offensiva austriaca sul Trentino, la Strafexpedition (15 maggio-18 giugno 1916), la Brigata venne inviata nel settore del monte Cengio, dove concorse ad arrestare una pericolosa infiltrazione austriaca mirante ad occupare Thiene, nella pianura Veneta.

Il 25 giugno, avendo gli austriaci iniziato il ripiegamento, reparti del 35° parteciparono alla rioccupazione del pianoro del Cengio, poi, causa le pesanti perdite, tutta la Brigata ottenne un periodo di meritato riposo. Ritornata il 26 luglio in prima linea, partecipò con azioni dimostrative in Val d’Astico a bloccare il tentativo austriaco di riconquista del monte Cimone di Tonezza; nei mesi successivi rimase nello stesso settore, alternando turni di riposo ed in linea e contribuendo con proprie pattuglie a colpi di mano anche sul vicino Pasubio.
Nella primavera del 1917 la Pistoia tornò in Carso, destinata al settore di Monfalcone nel tratto di fronte Flondar-quota 145; durante la X° Battaglia dell’Isonzo (12 – 28 maggio 1917) i due reggimenti attaccarono l’Hermada, senza fortuna e con gravi perdite; il giorno 26 maggio il nemico, conscio della crisi dei reparti italiani, uscì dalle proprie linee tentando di infiltrarsi nel settore di Flondar: solo il sacrificio dei battaglioni del 36° fanteria permise di bloccare questa minaccia. Nei giorni 28-29 maggio la Brigata si slanciò ancora contro l’Hermada, subendo di nuovo gravi decimazioni per il tiro ravvicinato delle mitragliatrici nemiche; la battaglia ormai in fase di stanca si trascinò ancora per qualche giorno con azioni locali tese a migliorare la linea raggiunta, poi si spense e la Pistoia rientrò in seconda linea dove attese i nuovi complementi.

L’XI° Battaglia dell’Isonzo (17-31 agosto 1917), vide la Pistoia in linea a Hudi Log dove rimase sino a metà settembre sostenendo aspri scontri ravvicinati col nemico che causarono gravi vuoti tra le sue fila; venne poi trasferita in Carnia nel settore della Val Resia e qui fu sorpresa dallo sfondamento della XIV° Armata austro-tedesca.
Nella XII° Battaglia dell’Isonzo (24 ottobre-10 novembre 1917), iniziata con lo sfondamento delle linee a Caporetto, i due reggimenti della Brigata ricevettero l’ordine di proteggere il ripiegamento delle divisioni 36° e 63°, rimanendo a stretto contatto con l’avversario; durante la ritirata la Pistoia fece saltare alle sue spalle ponti e nodi ferroviari, raggiungendo il Tagliamento il 30 ottobre e sistemandosi a difesa sulla sponda destra.

In queste operazioni di ripiegamento sul tagliamento, che tradotto dal gergo militare significa durante il caos e la disperazione della ritirata di Caporetto, Giovanni Carozza, Tarantolese, viene dato per disperso in combattimento.

Per le truppe nemiche il Tagliamento costituì un intoppo di breve durata e l’inseguimento riprese l’1 novembre. Il giorno 5 il 36° reggimento fu circondato presso il paese di Tramonti di Sopra e annientato; il 35° reggimento riuscì a sfuggire all’accerchiamento, ma il giorno dopo, intercettato dal nemico sulla mulattiera che da Tramonti scende in Val Meduna, subì la stessa sorte del reggimento gemello.